Un numero che può cambiare tutto: 26 %. L’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi sta ridisegnando i calcoli di molti proprietari. L’incasso netto, una volta considerati costi e imposte, rischia di ridursi drasticamente. Ciò che appariva un’opportunità facile e redditizia comincia a mostrare limiti e incertezze. In molte città italiane, la differenza tra affitto breve e tradizionale non è più così evidente, e l’idea di tornare a una locazione lunga sta diventando sempre più concreta.
Negli ultimi anni, l’affitto breve ha conquistato una parte importante del mercato immobiliare. Piattaforme digitali e turismo crescente hanno reso questo modello apparentemente irresistibile. Ma con la nuova tassazione introdotta dall’Agenzia delle Entrate, la cedolare secca al 26% per i contratti brevi a partire dal secondo immobile sta riducendo i margini.

Anche se il primo appartamento affittato può mantenere l’aliquota del 21%, il vantaggio fiscale si assottiglia rapidamente. La conseguenza è che molti investitori stanno tornando a considerare il contratto di locazione lungo, dove la tassazione resta più stabile e le spese di gestione sono minori.
Affitti brevi con cedolare al 26 per cento il guadagno reale si riduce e cambia la convenienza
La differenza tra il 21% e il 26% può sembrare minima, ma in realtà incide fortemente sui guadagni effettivi. Secondo le simulazioni pubblicate dal Sole 24 Ore e da Scenari Immobiliari, su un appartamento affittato brevemente a 3.000 euro lordi mensili, i costi di gestione, pulizie, utenze, manutenzione e commissioni ai portali, si aggirano intorno a 1.000 euro. Restano quindi 2.000 euro, sui quali si applica la cedolare. Con l’aliquota al 21%, l’imposta è di circa 420 euro; con il 26%, sale a 520 euro. Un aumento mensile di 100 euro, che equivale a oltre 1.200 euro all’anno.

L’impatto cresce per chi gestisce più di un immobile, perché la nuova norma, secondo l’Agenzia delle Entrate, prevede l’applicazione della cedolare al 26 % su tutte le locazioni brevi successive alla prima. In città come Torino o Bologna, dove la domanda turistica non è costante, il rendimento netto dell’affitto breve può scendere sotto quello di un contratto a lungo termine. A Firenze, invece, dove la domanda resta elevata, la convenienza permane ma con margini sempre più sottili.
Le spese operative restano il vero tallone d’Achille. L’affitto breve comporta pulizie frequenti, check-in e check-out, gestione degli ospiti e utenze attive tutto l’anno. A ciò si aggiungono le piattaforme che trattengono fino al 15 % di commissioni. Sommando tasse e spese, il guadagno reale diventa meno generoso di quanto sembri sulla carta. Non a caso, diversi gestori stanno riducendo l’offerta di locazioni turistiche per tornare a formule più stabili e prevedibili.
Perché la locazione lunga torna ad essere la scelta più sicura per reddito e stabilità
Il ritorno all’affitto lungo non è solo una questione fiscale ma anche di equilibrio economico. Un contratto tradizionale a canone libero (cedolare al 21%) o concordato (cedolare al 10%) garantisce reddito costante, minori imprevisti e una burocrazia più semplice. In molte città italiane, come Roma o Milano, il canone medio di un trilocale copre ormai quasi la stessa cifra netta di un affitto breve, ma con meno stress e più sicurezza.
Un proprietario che riceve 1.200 euro al mese con un contratto lungo, con tassazione stabile e inquilino affidabile, spesso finisce per guadagnare di più rispetto a un affitto breve soggetto a stagionalità e spese variabili. Inoltre, la gestione diretta o tramite agenzia per gli affitti turistici comporta un carico di lavoro non trascurabile. La stabilità del lungo periodo permette invece di pianificare entrate e investimenti con maggiore tranquillità.
Il governo ha motivato l’aumento della cedolare secca con l’obiettivo di riequilibrare il mercato immobiliare e aumentare la disponibilità di case per studenti e famiglie. Tuttavia, le associazioni di categoria, come l’Aigab, avvertono che l’effetto potrebbe essere opposto: più contratti in nero e meno trasparenza. Resta il fatto che l’aliquota al 26 % spinge molti a riflettere sul valore del tempo, della semplicità e della stabilità economica. E forse, dopo anni di rincorsa al guadagno rapido, la locazione lunga torna ad avere un fascino che va oltre il semplice rendimento.





