Chi assiste ogni giorno un familiare malato o disabile lo sa: la fatica è costante, il tempo è sempre poco e le tutele sono spesso insufficienti. Ora, però, qualcosa sembra cambiare. La Legge di Bilancio 2026 porta con sé un pacchetto di novità pensate per chi vive questo ruolo silenzioso ma fondamentale. Permessi, congedi, lavoro agile e nuove risorse economiche si affacciano all’orizzonte, aprendo finalmente uno spazio concreto per il riconoscimento dei caregiver familiari. Ma sarà sufficiente? Tra promesse e nodi ancora da sciogliere, si delinea un quadro in cui i diritti si avvicinano alla realtà quotidiana, pur con qualche incertezza di fondo.
Ogni giorno, migliaia di persone in Italia si prendono cura di un familiare senza avere un contratto, un orario, né una retribuzione. Sono padri, madri, figli, coniugi che sacrificano tempo, lavoro e spesso salute per garantire dignità e assistenza a chi non può farcela da solo. Fino a poco tempo fa, questa figura non aveva nemmeno un nome riconosciuto dalla legge.

Oggi si parla finalmente di caregiver familiari, con una maggiore attenzione da parte delle istituzioni e, soprattutto, con una nuova serie di misure inserite nella Legge di Bilancio 2026.
Dopo anni di vuoti normativi, la manovra introduce alcuni strumenti che potrebbero trasformare la gestione quotidiana dell’assistenza familiare, rendendola più sostenibile anche per chi lavora. Il cambiamento è ancora parziale, ma rappresenta un primo passo per valorizzare chi, ogni giorno, si mette da parte per il bene di qualcun altro.
La Legge di Bilancio 2026 introduce nuove tutele reali per i caregiver familiari con permessi aggiuntivi, congedi lunghi e priorità nello smart working
Uno dei punti centrali della manovra è l’ampliamento dei permessi retribuiti: ai beneficiari della Legge 104 saranno garantite 10 ore in più ogni anno, da utilizzare per visite, terapie o esami medici. Un piccolo aiuto, ma significativo per chi deve conciliare lavoro e assistenza senza perdere giornate intere di stipendio.

Molto rilevante anche l’estensione del congedo straordinario fino a un massimo di 24 mesi, da utilizzare nel corso della vita lavorativa. Durante questo periodo si mantiene il diritto alla retribuzione percepita prima del congedo, oltre alla copertura contributiva figurativa. È una misura che potrebbe evitare a molti di dover scegliere tra il lavoro e l’assistenza a tempo pieno.
Al termine del congedo, chi assiste un familiare potrà accedere con priorità allo smart working, se compatibile con il proprio ruolo aziendale. Una possibilità che offre maggiore equilibrio e continuità tra la vita privata e quella professionale, soprattutto in contesti lavorativi più flessibili.
Infine, è stata prevista una semplificazione delle procedure: basterà una certificazione medica trasmessa tramite sistema elettronico per attivare il diritto ai permessi e congedi, riducendo drasticamente i tempi e la burocrazia. Anche i lavoratori autonomi sono stati inclusi: potranno sospendere la propria attività fino a 300 giorni all’anno senza perdere i rapporti contrattuali in corso.
Restano irrisolte le disuguaglianze tra territori e l’accesso limitato alle risorse per tanti caregiver familiari che vivono situazioni complesse
Accanto alle novità positive, ci sono ancora elementi critici che rischiano di compromettere l’efficacia delle nuove misure. Il primo riguarda il reale finanziamento del Fondo caregiver: nonostante siano previsti milioni di euro tra il 2025 e il 2027, queste somme potrebbero continuare a confluire nel Fondo per la non autosufficienza, destinato soprattutto ai servizi sociali e non sempre direttamente a chi presta assistenza.
C’è poi il tema delle soglie di accesso, spesso legate a certificazioni, ISEE e condizioni rigide. Questo significa che molte situazioni, anche gravi sul piano umano, potrebbero restare escluse. Il rischio è che i nuovi diritti restino appannaggio solo di una parte dei caregiver, lasciando indietro chi non rientra nei parametri previsti.
Un’altra criticità importante riguarda le disuguaglianze territoriali. L’applicazione concreta delle misure dipende molto dalle singole Regioni e dagli enti locali. Dove mancano servizi efficienti, i nuovi strumenti potrebbero rivelarsi inefficaci o difficilmente accessibili. Senza una governance nazionale forte, la tutela rischia di essere frammentata e iniqua.
Serve dunque un cambio di passo non solo normativo ma anche culturale. Il caregiver familiare non può più essere una figura invisibile, e le leggi devono essere accompagnate da politiche attive di sostegno psicologico, formazione e servizi domiciliari. Solo così sarà possibile trasformare le buone intenzioni in un cambiamento duraturo.





