Quando il denaro destinato ai figli finisce per coprire spese personali, la linea tra leggerezza e responsabilità legale diventa pericolosamente sottile. Ogni euro ricevuto con l’Assegno Unico è vincolato all’interesse dei figli, e quando questa finalità viene tradita, entrano in gioco norme severe e controlli che non lasciano spazio a interpretazioni libere. Non esiste un elenco di spese vietate, ma esiste un principio preciso che guida tutto: i soldi devono servire al mantenimento e al benessere dei minori. Basta poco per trasformare una gestione superficiale in una questione giudiziaria.
Non si tratta solo di cifre, ma di fiducia, responsabilità e tutela dei più piccoli. Un bonifico ingiustificato o una spesa non legata ai figli può aprire la strada a verifiche e sanzioni. L’INPS, la magistratura e l’altro genitore possono intervenire con strumenti concreti, e la giurisprudenza ha già fissato paletti chiari. Anche se non esiste un elenco ufficiale delle spese vietate, le conseguenze per chi usa il denaro impropriamente possono essere molto pesanti.

È nei gesti quotidiani che tutto si decide: la trasparenza diventa un’arma di tutela e la leggerezza può diventare una prova a sfavore. Non è solo questione di rispetto della legge, ma di responsabilità verso chi dipende interamente dagli adulti.
La convinzione che l’Assegno Unico sia un aiuto libero da vincoli porta spesso a errori che non sembrano gravi, ma che possono avere effetti importanti. L’assenza di una carta dedicata o di un controllo preventivo non significa libertà assoluta. I controlli esistono e possono scattare anche a distanza di tempo.
Molte contestazioni nascono da situazioni familiari delicate, soprattutto nei casi di separazione. Quando un genitore nota spese personali fatte con l’assegno, può rivolgersi alle autorità. E se l’uso improprio è intenzionale, si può arrivare a una denuncia per appropriazione indebita.
Le spese vietate con l’Assegno Unico si riconoscono dal loro scopo e chi le usa per sé rischia conseguenze anche gravi
Quando un genitore riceve l’Assegno Unico, il denaro non diventa una disponibilità personale. È vincolato e destinato esclusivamente al benessere dei figli. Questo principio è stato affermato chiaramente dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24140/2023, che ha riconosciuto l’uso improprio come possibile reato ai sensi dell’articolo 646 del Codice Penale.

Non esiste una lista precisa delle spese vietate con l’Assegno Unico, ma la logica è lineare: tutto ciò che non serve ai figli può essere contestato. Se il denaro viene usato per vacanze personali, acquisti di lusso, debiti privati o gioco d’azzardo, il rischio legale cresce. Anche prelievi frequenti o trasferimenti ingiustificati verso terzi possono essere visti come segnali di uso improprio.
Un esempio concreto: se una parte dell’assegno viene impiegata per pagare la rata dell’auto personale senza un legame diretto con i figli, può essere contestata. Se invece serve per accompagnarli a scuola o alle attività sportive, il discorso cambia. La differenza sta nello scopo reale della spesa.
In caso di comportamenti scorretti, la pena prevista va da due a cinque anni di reclusione e una multa da 1.000 a 3.000 euro. Inoltre, l’INPS può richiedere la restituzione e l’altro genitore può avviare azioni civili e penali. Nonostante l’ampia discrezionalità concessa, ogni euro deve essere riconducibile al mantenimento della prole.
Molte situazioni si collocano in zone grigie, dove la spesa può sembrare per i figli ma non lo è realmente. Proprio in queste aree si concentra la maggior parte dei contenziosi. Anche senza strumenti di controllo automatico, le verifiche possono avvenire tramite documentazione, segnalazioni o decisioni del giudice.
Quando l’INPS può intervenire e come i genitori possono tutelarsi per evitare rischi e responsabilità
L’INPS ha la possibilità di verificare e recuperare somme spese in modo improprio. Può inviare comunicazioni, avviare piani di rientro e chiedere la restituzione. L’altro genitore può invece rivolgersi al giudice per ottenere la riallocazione dell’assegno o presentare denuncia. Spesso, però, una richiesta formale di restituzione evita l’escalation.
La trasparenza è la miglior difesa. Conservare ricevute scolastiche, scontrini, fatture mediche o pagamenti per attività extrascolastiche può dimostrare che l’assegno è stato utilizzato correttamente. In casi reali, proprio la presenza di documenti ha permesso di archiviare accuse di uso improprio.
Un aspetto fondamentale è che l’assegno non sostituisce l’obbligo di mantenimento fissato dal giudice. Se si verifica un abuso, il giudice può decidere di far gestire le somme direttamente all’altro genitore o a un soggetto terzo. Questa possibilità serve a garantire che il denaro vada davvero ai figli.
Ogni scelta ha un peso, perché ogni euro dell’Assegno Unico rappresenta una parte concreta del diritto dei figli a essere sostenuti. E se il confine tra uso lecito e illecito sembra sottile, la legge lo rende molto chiaro. A volte non è la cifra a contare, ma l’intenzione e la finalità con cui viene usata.