Quando due lavoratori fanno le stesse cose ma uno prende più soldi la legge e la Cassazione dicono che può essere legittimo

Due colleghi, stessi compiti, stesse ore, stessi obiettivi. Ma lo stipendio non è lo stesso. Succede davvero, ogni giorno, e spesso fa discutere. La sensazione di ingiustizia è forte, ma la legge italiana, e ora anche l’Europa , non sempre la pensa allo stesso modo. C’è una recente sentenza della Cassazione che sta facendo parlare, perché mette in chiaro che la parità di mansioni non significa automaticamente parità di stipendio. Non è un errore e non sempre è discriminazione. Il mondo del lavoro è pieno di sfumature, e questa è una di quelle che vale la pena approfondire. Anche perché può riguardare chiunque, in qualsiasi azienda, e cambiare il modo in cui si guardano le buste paga.

Ogni volta che si apre la busta paga e si scopre che il collega accanto guadagna di più, nasce una domanda scomoda: com’è possibile? Per molti è ovvio pensare che a stesso lavoro debba corrispondere lo stesso salario. Eppure, la normativa italiana non prevede questo automatismo. La sentenza n. 17008 del 2025 della Cassazione ha confermato un principio già presente nella giurisprudenza: a parità di mansioni, lo stipendio può essere diverso, se non ci sono discriminazioni.

impiegati in ufficio
Quando due lavoratori fanno le stesse cose ma uno prende più soldi la legge e la Cassazione dicono che può essere legittimo-flavabeach.it

Questo non significa che le aziende possano pagare come vogliono. Esiste un limite chiaro: la retribuzione deve essere proporzionata e dignitosa, come previsto dall’articolo 36 della Costituzione. Ma resta comunque una certa libertà, che consente ai datori di lavoro di modulare la paga secondo criteri legittimi. Per esempio, l’anzianità, le competenze maturate, o semplicemente una trattativa salariale più favorevole al momento dell’assunzione.

La Cassazione conferma che è legittimo avere stipendi diversi anche quando si fanno le stesse attività

Nel caso affrontato dalla Corte , un dipendente pretendeva di essere inquadrato in un livello superiore perché svolgeva le stesse attività dei colleghi con qualifica maggiore. Aveva chiesto il ricalcolo dello stipendio, gli arretrati e persino un risarcimento. Ma il tribunale prima e la Cassazione (n. 17008/2025) poi gli hanno dato torto. Mancavano prove concrete che dimostrassero una reale equivalenza tra le sue mansioni e quelle previste dalla qualifica superiore. Non basta dire “faccio le stesse cose”, serve dimostrarlo.

giudice
La Cassazione conferma che è legittimo avere stipendi diversi anche quando si fanno le stesse attività-flavabeach.it

Il giudizio dei magistrati si è basato sul principio per cui la semplice somiglianza nelle attività non implica automaticamente un diritto alla stessa paga. In pratica, la differenza retributiva è legittima se fondata su elementi oggettivi, come competenze, esperienza o merito. È lo stesso Codice civile, all’art. 2103, a richiedere che le mansioni siano valutate in modo dettagliato, non solo per titolo ma per contenuto.

Un esempio chiarisce meglio: due addetti alla contabilità possono svolgere operazioni simili, ma uno dei due, magari, si occupa anche di relazionarsi con i revisori, ha firmato certificazioni, o prende decisioni autonome. Questo elemento può giustificare un trattamento economico differente, anche se il lavoro di base appare uguale.

Le differenze di stipendio sono illegittime solo quando nascondono una discriminazione vietata dalla legge

Le cose cambiano completamente quando la disparità salariale si basa su fattori vietati dalla legge, come genere, età, religione, orientamento politico o sindacale. In questi casi si parla di discriminazione salariale, e il lavoratore ha diritto a vedere riconosciuta la parità retributiva, oltre a eventuali risarcimenti. Proprio per contrastare queste situazioni, l’Unione Europea ha approvato la direttiva 2023/970, recepita in Italia nel 2025, che punta alla trasparenza salariale e alla parità tra uomini e donne.

Questa normativa prevede che le aziende rendano accessibili i dati sulle retribuzioni medie, e che siano in grado di giustificare eventuali differenze. Se una lavoratrice scopre di guadagnare meno di un collega uomo con pari ruolo e esperienza, il datore di lavoro dovrà spiegare il motivo. In caso contrario, scatteranno sanzioni. Ma attenzione: la direttiva non impone che ogni differenza retributiva venga eliminata, solo quelle fondate su motivi illeciti.

Il punto chiave è questo: non esiste un diritto universale a ricevere lo stesso stipendio del collega, anche a parità di mansioni, se le differenze sono legate a criteri oggettivi e non discriminatori. Una realtà che può sorprendere, ma che aiuta a capire quanto sia complesso l’equilibrio tra equità e libertà contrattuale nel mondo del lavoro.

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